Era il 1972 quando il Corriere della Sera titolava “Il divario Nord Sud verrà colmato nel 2020”.
Titolo che circa 48 anni fa poteva sembrare profetico e che oggi, alla luce dei fatti e dei dati, sembra quasi ironico.
Era il 13 settembre quando uscì il famoso articolo che faceva un bilancio della situazione economica di quel periodo.
Dall’analisi del Professor Pasquale Saraceno, all’epoca Ministro del Bilancio, lo sviluppo del Sud era avvenuto in maniera disordinata, aggiungendo ai vecchi motivi di arretratezza, nuove cause di disorientamento.
Per quanto si investisse in impianti siderurgici, dall’Italsider all’Ilva, e per quanto le industrie siderurgiche rappresentassero il massimo dell’innovazione al Sud, non si trattava di attività ad alto tasso di occupazione.
Già nel 1972 si prospettava un’unica soluzione: cambiare il modello di sviluppo affinché il Sud potesse raggiungere, entro il 2020, i livelli di sviluppo del Nord.
Il tempo ha fatto il suo corso: il 2020 è arrivato, ma il divario è ancora una linea di divisione profonda e ben visibile.
Anzi, durante la pandemia sono venute fuori persino altre divergenze, che mettono ancora di più in evidenza il livello di complessità della vecchia questione meridionale.
Livello di complessità che ha riacceso le antiche rivalità politiche tra Nord e Sud, evidenti anche dagli emblematici scontri politici tra De Luca e Fontana, solo per citare uno dei casi mediatici più eclatanti – a tratti anche divertenti – di questa epidemia.
Il divario Nord – Sud, verrà accentuato ulteriormente dai crediti emanati dal governo, che non sembrano favorire ugualmente tutte le regioni.
Il vicepresidente della Regione, Gaetano Armao, a tal proposito, ha affermato che “la liquidità apprestata dal governo, che impone vincoli e rigidità, favorisce le regioni del Nord e discrimina Sud ed Isole. Il Mef deve intervenire a garantire la proporzionalità, subito”.
Le regioni capaci di ottenere più credito sono anche quelle più colpite dall’epidemia. Tra l’altro, non si tratta di contributi a fondo perduto ma di prestiti da restituire.
Ed è quindi plausibile che imprese più grandi e capitalizzate (che sono al Nord) abbiano sia la possibilità che la necessità di chiedere prestiti più cospicui. E poi ci sono altre cose che l’indagine della Fabi non dice.
Il divario c’è, ma non si sa se sia stato aggravato da richieste respinte, da domande di importo minore o dal fatto che le imprese meridionali non abbiano voluto (perché troppo deboli) o potuto (perché le banche non lo hanno permesso a causa, ad esempio, di incagli) presentare richiesta. In entrambi i casi, il problema non nasce con il Covid-19: le Pmi (per non parlare degli autonomi) al Sud devono fare i conti con la propria fragilità, che si riverbera sull’accesso al credito.
La famosa profezia con cui abbiamo aperto questo articolo, quindi, non si è ancora avverata. Ben lungi dall’essersi colmato, il vecchio, vecchissimo, divario Nord – Sud torna ancora una volta a riproporsi.